martedì 5 giugno 2007

Riding on a train (prima parte)

Qualche giorno fà ho ricevuto un sms da mio fratello in vena di una delle sue goliardate.
Era su un treno per andare a trovare alcuni amici e aveva come compagni di viaggio una silenziosa ragazza e un logorroico vecchietto.
Se fossero i personaggi di un libro di Nick Hornby, credo che il racconto sarebbe più o meno così:

Non è che avessi molta scelta, i treni che partono da Napoli sono talmente affollati che tra i posti a sedere sono contemplate anche le porzioni di moquette del corridoio.Quindi non feci lo schizzinoso quando trovai quel posto vuoto. Un esame veloce per controllare l'assenza di cicche sul sedile (sotto non mi sono certo dato la pena di guardare. C'erano. Sicuro.) e i requisiti essenziali erano soddisfatti. Mi sedetti.


"Buongiorno... Buongiorno..." dissi educatamente alla bella fanciulla del posto accanto e al vecchietto di fronte con un accenno.


La ragazza non era male, bellina davvero. E tentai l'approccio dalla base: "E' libero il posto, no?" "Si si" e sorrise. Ma non andò oltre... L'avrò spaventata? Bho.
Abbozzai la conversazione. Sorrideva. "Si... Io no capire. Scussi."
Non era una timidona e nemmeno le avevo messo soggezione col mio fascino animale, o magari anche, chissà; quello che però le impediva una fluente conversazione era l'ostacolo linguistico.
“Io greca”.

Fatta eccezione per "buongiorno, ciao e spaghetti" per il suo italiano e "kalimera" e kalisera... o kali-qualcosa, non ricordo... e pure mussaca e zazzichi, un repertorio scarso anche per rimorchiare un'aspirante cuoca, le barriere culturali impedivano la socializzazione.


E poi nemmeno mi piaceva...
Già.


Il vecchietto che fino a quel momento non aveva parlato, era rimasto affascinato nell’udire la cittadinanza della ragazza.
Era uno di quei vecchietti che sembrano imbalsamati sul sedile, dall’apparenza innocua, il cui silenzio non è però sintomo di pace interiore, piuttosto di strategia militare: studiano il nemico per capire da che lato attaccare.
Infatti prese la palla al balzo e iniziò a sciorinare le sue conoscenze storiche: “Quindi è greca! Eh, che bella la Grecia... L’antica Grecia! La mitologia, la storia... Conoscerà sicuramente la battaglia delle Termopili. Io le imparavo a scuola, tanto tempo fa’... La storia di Ulisse, Achille e di Troia...”.

Il viso della ragazza era un enorme punto interrogativo e doveva essersene accorto anche l’oratore perché si bloccò: “Ha presente Troia?”
Scussi. Io no capire. No parlo italiano”
“Si, ma Troia...” ma lei continuava a scuotere la testa sgranando gli occhioni, che avevano raggiunto le dimensioni di due padellini.
A quel punto la conversazione/monologo prese una piega più che grottesca. Se qualcuno fosse passato davanti allo scompartimento in quel momento sarebbe rimasto disgustato: un vecchiaccio bavoso che guardava una graziosa giovine dicendole “Troia... T-r-o-i-a... TROIA!” urlando come se le barriere linguistiche avrebbero potuto infrangersi all’intensità del suono. Intanto lei continuava a negare col capo e si vedeva chiaramente che era a disagio.
E se avesse capito il disguido che poteva intendersi tra la città di Ilio e il più antico mestiere del mondo, dubito che sarebbe stata soltanto a disagio.

”Omero... Odissea... La città distrutta…” tentai io soccorrendo la fanciulla in ambasce.
”Ah... Tria!” e noi che abbiamo detto finora?

Adesso sorrideva. Aveva capito. Una frazione di secondo e già era affaccendata in altro. Non voleva lasciare spazi bianchi individuabili al simpatico signore. Si vede che pensasse di aver già dato.


Io a quel punto scelsi il paesaggio come sfondo del desktop. E mentre quello scorreva le orecchie si disconnettevano, un torpore da sonnolenza mi assaliva e le immagini diventavano associazioni mentali... Il verde... La campagna... Un po' di pace... Vacanza...Finalmente qualche giorno di vacanza dopo turni su turni e giorni di intensi mal di testa e incazzature.
Cioè, fosse un lavoro tedioso il nostro capirei pure l'impegno dei colleghi ad inserire nuovi e giovani problemi diari... Ma la noia non è contemplata nel dizionario delle forze dell'ordine. Basta ascoltare i denuncianti per avere stimoli continui. Eh si, perché la gente... no, dico, la gente!! Parliamone! Ce la manderesti a quel paese, e come no! Accanto alla scrivania mi dovrebbero mettere l'inceneritore degli imbecilli: starebbe a tutto regime giorno e notte.
Se non mi prendevo qualche giorno di pausa rischiavo la liquefazione cerebrale.Un pò di chiacchere inutili con gli amici e di sane abbuffate come terapia e...


"Lei fà spesso questa tratta?"
Chi c---o è??? "...Prego?"


L'avevo sentito benissimo ma anche sperato che l'interlocutore, sempre il vecchietto sedutomi di fronte, capisse l'inopportunità del suo intervento, magari prima che io uscissi completamente dalle mie rilassanti/inutili/ovvie/cretine riflessioni.
"Ah, no. No, è che vado a trovare degli amici"
E prima che potessi girare lo sguardo di nuovo verso il finestrino: "Eh questo mondo! Ma dove vogliamo arrivare?"

PER L'AMOR DEL CIELO, NOOOOO! Qualcosa di più originale non c'era proprio da dire? Andava bene anche il buco dell'ozono! Voglio l'inceneritore! Adesso!! Subitooooo!!!
Per un pericoloso attimo il mio istinto di sopravvivenza stava per prendere ilsopravvento: sulla punta della lingua era precariamente aggrappato un "Io voglio arrivare alla stazione di Capaccio dopo Battipaglia. Sul serio, scendo lì."
Ma anche colto di sorpresa non riesco ad essere così bastardo, quindi allungai un sorriso complice appendendolo alla meglio sulle guance e ballonzolai la testa avanti e dietro come se mi mancasse l'articolazione cervicale. Senza fiatare annuivo comprensivo. Eeeeeh già.

Speravo che il mio silenzio lo scoraggiasse. Perché ero in silenzio, è vero, però avevo scritto in faccia "PERICOLO. Non ca-are fuori dal vasetto." in rosso lampeggiante.Ma i conti li avevo fatti decisamente male. Se c'è una cosa che gli anziani amano tanto è qualcuno che li ascolti. Il silenzio è d'oro. Per loro.


"Sa, una volta mica c'erano tutte queste cose... I treni per esempio. Cioè, i treni c'erano ma non così, con le carrozze così e i posti e tutto..."
Sicuro. Saranno stati a pedali. Sorrido. Annuisco.

"Eh..." riprese l'accattivante narratore, "il tempo passa..."
Ah, flalalai. Fa freschino oggi. Se lo dico io non lo dice lui...Sorrido sempre.


E poi la situazione precipitò irrimediabilmente. E non so come mi accorsi che parlava della sua vecchia casa ai tempi della guerra, "quando c'era la fame ma si stava meglio" (ah si?) e senza accorgermene, prima di stabilire il contatto cervello-lingua sparai:

"Ma stavate in pianura?"



(fine prima parte)

3 commenti:

  1. Ammazza Loredana come scrivi bene!E che inventiva che hai!Complimenti davvero!bacioni :D

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  2. Grazie Franci (scusa se non ho risposto ieri).
    Confesso che "da grande" volevo fare la scrittrice, però mi manca una delle cose per cui ti sei complimentata: la fantasia.
    Perché, vedi, questa storia è vera... anche se non ero presente perciò ci ho messo del mio. Ma non l'ho affatto inventata... Mio fratello è davvero esaurito come appare nel racconto (ciao Gianni!) :-D

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  3. L'inventiva non deriva solo dalla creazione di storie e intrecci ma esiste anche un'inventiva propriamente linguistica!E tu ce l'hai!Anche io da piccola avrei voluto fare la scrittrice, ma poi ho visto che mi riesce molto meglio la poesia anche se nessuno vuole pubblicarmele! Io le pubblico sul mio blog, tiè alla faccia loro!Comunque complimenti anche per il tuo nuovo template, molto carino! baci fra

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